martedì 26 giugno 2012

CHI VINCE HA SEMPRE RAGIONE (1)? ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE FINALS NBA 2012

Miami. Venerdì 22 giugno 2012. All'American Airlines Arena, di fronte al pubblico amico, i Miami Heat sconfiggono per 121 a 106 gli Oklahoma City Thunder nella quinta gara delle Finals, chiudendo così la serie sul 4 a 1 e laureandosi campioni NBA per la seconda volta nella loro storia dopo il trionfo del 2006.


Il mattatore dell'incontro è stato ancora una volta LeBron James, con una tripla doppia costituita da 26 punti, 11 rimbalzi e 13 assist, che in un colpo solo spazza via tutte le critiche sui suoi presunti limiti mentali e caratteriali che in passato in più di una circostanza lo avrebbero portato ad eclissarsi nei momenti decisivi delle partite che contano e oltre al suo primo anello si mette in tasca anche il premio di MVP della Finale.

James è stato ottimamente coadiuvato dagli altri due Big Three, ovvero Dwyane Wade (20 punti, 8 rimbalzi e 3 assist) e Chris Bosh (24 punti e 7 rimbalzi).


Sul fronte degli sconfitti invece ennesima prova di forza di Kevin Durant, che chiude l'ultima partita della stagione 2011/2012 con all'attivo 32 punti (frutto di un ottimo 13 su 24 al tiro) e 11 rimbalzi.


Dopo aver giustamente celebrato il trionfo degli Heat la domanda più ovvia è: premesso che chi vince ha sempre ragione ha veramente vinto la squadra più forte? 

Miami è veramente in procinto di dare vita, con un anno di ritardo, ad una dinastia sulla falsariga dei Chicago Bulls di Michael Jordan (come dichiarato da LeBron James al momento della sua firma con la compagine della Florida)?
 


A parere di chi scrive la risposta è no.
O meglio, non è così scontato che sia sì.

In casa Heat va sottolineato (e applaudito) il passo indietro di Dwyane Wade, che a discapito delle cifre (e quindi del suo ego) ha parzialmente cambiato il suo modo di giocare, creando così le condizioni che hanno permesso a LeBron James di esprimere al meglio le proprie qualità.
Miami continua però ad avere delle lacune croniche, sia a livello strutturale che a livello di impianto di gioco.

Sul fronte dell'organico continuano a mancare un playmaker e un centro di buon livello e la panchina risulta decisamente corta, con i soli Shane Battier e Mike Miller in grado di fornire un buon apporto.



Sul piano del gioco invece, nonostante gli aggiustamenti fatti dai Big Three relativamente al loro modo di stare in campo e alla ripartizione delle responsabilità, Miami continua a dipendere in misura eccessiva dai miracoli fatti dal duo James-Wade, mettendo in campo un gioco molto poco corale e che vive di costanti isolamenti e uno contro cinque di James o di Wade, con coach Erik Spoelstra che ha dato la sensazione di essere incapace di creare opzioni alternative.

Il cammino stagionale degli Heat sembra confermare che la squadra della Florida non è una creatura perfetta.

La regular season è stata chiusa dietro ai Chicago Bulls di Derrick Rose e durante i playoff, che dopo l'eliminazione dei Bulls al primo turno successiva al grave infortunio patito dallo stesso Rose sembravano una pura formalità (almeno per quel che concerne la vittoria dell'Est e l'approdo in finale), hanno avuto prima più di un problema contro Indiana (serie terminata 4 a 2) e poi hanno seriamente rischiato l'eliminazione contro i Boston Celtics (che si sono ritrovati in vantaggio per 3 a 2 con uno dei due match-ball da giocare in casa).



La stessa serie finale contro i Thunder è stata molto più in equilibrio di quanto il 4 a 1 finale potrebbe suggerire, con le prime 4 gare della serie tiratissime e che sono sempre arrivate alle battute finali con uno scarto ridotto.

Sulla carta già quest'anno Oklahoma disponeva di un roster migliore (con un pacchetto lunghi più solido, un playmaker di assoluto valore e con un reparto di esterni in grado di tenere testa a quello di Miami) e probabilmente è stata tradita dalla sua inesperienza.

La giovane età delle sue stelle (Durant e Westbrook hanno 23 anni, mentre Ibaka e Harden 22) fa presumere che il prossimo anno sarà nuovamente una delle più serie pretendenti alla vittoria finale.



I Miami Heat si sono quindi dimostrati la squadra dotata di maggiore talento complessivo, più equilibrata, meglio allenata e con il gioco migliore?

No.

Però dalla loro avevano la presenza di due tra i primi cinque giocatori NBA e l'esperienza (oltre che la rabbia) maturata nella precedente finale persa contro i Dallas Mavericks di Dirk Nowitzki.

La prossima stagione ci dirà se tutto questo (unitamente alle mosse estiva degli Heat in sede di mercato) basterà per replicare la vittoria appena conquistata e dare vita ad un accenno di dinastia.


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